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Trento, 3 luglio 2005
LE PAROLE DEL COMMIATO
ALEXANDER LANGER, DIECI ANNI DOPO

Introduzione di Marco Boato al libro edito dai Verdi del Trentino,
nel decimo anniversario della scomparsa di Alex Lager (curato da Marco Boato)

Alexander Langer si è dato volontariamente la morte il 3 luglio 1995 a Firenze, al Pian de’ Giullari, impiccandosi ad un albicocco.

L’emozione che colpì il movimento verde ed eco-pacifista, italiano ed internazionale – ma anche moltissimi altri, di ogni orientamento politico, culturale e religioso –, fu allora enorme, al punto che alcuni, inopinatamente, sul primo momento non vollero credere alla tragica realtà del suicidio, ipotizzando che Alex fosse rimasto vittima di chissà quali oscure macchinazioni. Ma, nel giro di poche ore, anche grazie al ritrovamento di tre brevi messaggi da lui lasciati (due in italiano rivolti alla moglie Valeria e uno in tedesco, quest’ultimo con la disperata motivazione della sua scelta), la verità apparve nella sua crudezza, le ombre scomparvero con la stessa rapidità con cui si erano profilate, e, paradossalmente, la sua morte gettò una luce abbagliante anche sulla sua vita.

Una vita straordinaria ed inimitabile, quella di Alex: ricca di cultura e di esperienze, di impegno e di riflessione, di militanza e di contemplazione, di laicità e anche di intensa religiosità, di studio e di feconda operatività, di profezia e di realismo, di politica rigorosa ma anche di irriducibile “impoliticità”. Parlare di lui come di un ecologista, di un ambientalista, di un pacifista, corrisponde al vero, ma è anche troppo riduttivo. Alex era molto di più e di diverso di tutto questo: era una sorta di testimone e di profeta del nostro tempo. E, come tutti i profeti, ha indicato la direzione verso il futuro, lo ha addirittura anticipato in molte sue idee e in molte sue scelte, ma ha “dovuto” (e voluto, ahimé) fermarsi sulla sua soglia: senza poter vedere e raggiungere la “terra promessa” (o, per chi crede, l’ha effettivamente raggiunta in un’altra dimensione).

Quando è morto, aveva 49 anni: da dieci era morta sua madre, negli stessi giorni ricorreva l’anniversario della morte del padre, ed era – ed in lui questa soglia aveva assunto un forte valore “psicologico” – a qualche mese dal compimento del suo cinquantesimo anno di età.

In un passato non troppo lontano, le persone morte per suicidio, nella Chiesa, non potevano ricevere un funerale religioso e non potevano essere sepolte all’interno del recinto sacro dei cimiteri. Quando Alex è morto, nella Badia Fiesolana l’omelia di padre Angelo Chiaroni ha ripercorso con delicatezza tutta la sua vita e il suo funerale è stato concelebrato da numerosi sacerdoti, che l’avevano conosciuto, stimato e amato. Nella Badia Fiesolana Alex aveva incontrato e frequentato padre Ernesto Balducci. Quel giorno dell’estremo congedo, la chiesa era gremita fino all’inverosimile da centinaia di persone attonite, stordite dal trauma del distacco improvviso, silenziosamente doloranti e piangenti (chissà cosa è passato per la testa e la coscienza di ciascuno: quanti ricordi, quante emozioni e, chissà, anche quanti sensi di colpa, per aver magari aggravato i pesi, che Alex non aveva più saputo reggere...).

Era giovedì 6 luglio 1995. Il giorno dopo, venerdì 7 luglio, una quantità enorme di persone (in gran parte diverse da quelle del giorno precedente) si ritrovò a ricordarlo in un’altra chiesa, quella dei Francescani, a Bolzano. La celebrazione liturgica, anche lì con la partecipazione di molti sacerdoti, fu presieduta dal vescovo Wilhelm Egger, che, all’omelia, seppe usare parole discrete e commosse di stima, di rimpianto, e anche di monito («E io vi darò ristoro», dice il Vangelo) di fronte all’amico Alex suicida. Qualche giorno più tardi, lunedì 10 luglio, dopo la cremazione, le sue ceneri furono infine accolte nella umile chiesetta di Telfes. Una terza celebrazione liturgica, questa volta solo di fronte a Valeria, ai familiari e agli amici più intimi. E il parroco, don Gottfried Gruber, seppe dire, nell’omelia, parole di amicizia, di comprensione (evocò con emozione un altro suicidio, del figlio di una persona a lui cara), di speranza. Alex fu (ed è) sepolto nel piccolo cimitero antistante, nella stessa tomba del padre e della madre, da dove si spalanca una vista incantevole sulla valle, che lui avrà ammirato chissà quante volte, quando rendeva visita ai genitori. E, alla fine, un tuono improvviso suggellò quasi simbolicamente quella mesta, struggente cerimonia degli addii.

Ormai, nell’arco di dieci anni, molti libri sono stati pubblicati (compresa qualche bella tesi di laurea sulla sua figura) con scritti di e su Alexander Langer, riguardanti tutti gli aspetti del suo ricchissimo e complesso itinerario culturale e politico.

Per quanto riguarda l’esito estremo della sua vita, la morte volontaria, è giusto non operare alcuna forma di “rimozione”. Ma è altrettanto giusto e necessario fermarsi sulla soglia, non pretendere di dare altre spiegazioni e motivazioni, che non siano quelle drammaticamente contenute nel suo ultimo messaggio autografo: «Non ce la faccio più» («Ich derpack’s einfach nimmer», nel testo originale, scritto da Alex in tedesco). Il suo suicidio resta un mistero insondabile, da ricordare con amore (magari anche con la “rabbia” del distacco traumatico da un amico), da rispettare nella sua terribile consapevolezza e determinazione.

A chi è rimasto – e non ha mai smesso di leggere e rileggere le «parole del commiato» – non resta che riflettere anche sul percorso esistenziale di Alex, specialmente negli ultimi cinque anni prima della morte.

Fra le sue carte inedite, sono state ritrovate alcune “domande”, scritte in tedesco, che lui ha rivolto a se stesso il 4 marzo 1990. Domande molto “secche” e forti, che si concludono con questa, invece, più ampia e dettagliata, quasi a ripercorrere le tappe essenziali della propria vita:

«Tu che ormai fai “il militante” da oltre 25 anni e che hai attraversato le esperienze del pacifismo, della sinistra cristiana, del ’68 (già “da grande”), dell’estremismo degli anni ’70, del sindacato, della solidarietà con il Cile e con l’America Latina, col Portogallo, con la Palestina, della nuova sinistra, del localismo, del terzomondismo e dell’ecologia – da dove prendi le energie per “fare” ancora?».

Questa è la domanda finale, che Alex rivolge a se stesso già il 4 marzo 1990, e che allora lascia solo per se stesso, tra le sue carte: «Da dove prendi le energie per “fare” ancora?». Da meno di un anno, era stato eletto, per la prima volta, deputato al Parlamento europeo.

Ma, in quello stesso periodo, forse qualche settimana prima, Alex scrive, stavolta in italiano e pubblicamente, quel piccolo capolavoro – anche letterario, oltre che etico e politico – che è la sua “lettera” indirizzata al «Caro San Cristoforo», che così inizia: «Caro San Cristoforo, non so se tu ti ricorderai di me come io di te. Ero un ragazzo che ti vedeva dipinto all’esterno di tante piccole chiesette di montagna...».

In quel testo dell’inizio del 1990, davvero stupendo ed emozionante ancor oggi alla lettura, Alex ad un certo punto si chiede:
«Perché mi rivolgo a te alle soglie dell’anno 2000? Perché penso che oggi in molti siamo in una situazione simile alla tua, e che la traversata che ci sta davanti richieda forze impari, non diversamente da come a te doveva sembrare il tuo compito in quella notte, tanto da dubitare di farcela. E che la tua avventura possa essere una parabola di quella che sta dinnanzi a noi».
Quelle parole - «forze impari», «tanto da dubitare di farcela», e le altre – risuonano oggi, alla rilettura, come un monito che Alex indirizzava certo ai suoi lettori, ma che rivolgeva anche e soprattutto a se stesso.

Due anni e mezzo dopo – è un testo conosciutissimo, e ripetutamente ricordato e citato da molti, nei giorni del commiato, e dopo – Alex scrive, in italiano e pubblicamente (21 ottobre 1992), una lunga e dolorante testimonianza in memoria di Petra Kelly, che si conclude con queste drammatiche parole, che è stato poi difficile per tutti rileggere senza pensare anche ad una riflessione di Alex su se stesso:

«Forse è troppo arduo essere individualmente degli Hoffnungsträger, dei portatori di speranza: troppe le attese che ci si sente addosso, troppe le inadempienze e le delusioni che inevitabilmente si accumulano, troppe le invidie e le gelosie di cui si diventa oggetto, troppo grande il carico di amore per l’umanità e di amori umani che si intrecciano e non si risolvono, troppa la distanza tra ciò che si proclama e ciò che si riesce a compiere. Addio, Petra Kelly».

È davvero «troppo arduo», anche dieci anni dopo la morte di Alex, rileggere queste sue parole dedicate a Petra Kelly, e non ritenere che già allora egli, tanto più nello scrivere in forma impersonale, si rivolgesse anche a se stesso. Lo ha detto in modo esplicito Adriano Sofri: «Le pagine di Alexander in memoria di Petra Kelly ci sembrano oggi la migliore descrizione della sua propria disperazione, e confermano come il suo gesto, così inaspettatamente sconvolgente, venisse da lontano».
Riguardo all’anno successivo, il 1993, Edi Rabini ha reso nota per la prima volta – in una sua lunga e accorata riflessione pubblica, dopo la sua morte – una bozza di lettera-commiato (scritta in italiano nel settembre 1993), che poi Alex decise di non diffondere:

«Per ragioni personali ed interiori che non intendo rendere pubbliche, decido di prendere congedo – non so ancora se a tempo o per sempre – dall’attività politica che svolgevo, in varie forme, ma sempre con forte convinzione ed impegno, ininterrottamente da decenni, e per tredici anni anche nelle istituzioni rappresentative. Di conseguenza mi dimetto dalle funzioni politiche che mi sono state affidate, in particolare dal mandato al Parlamento europeo, dove mi subentrerà Grazia Francescato, attuale presidente del Wwf-Italia, che spero avrà l’opportunità di proseguire tale mandato anche nella prossima legislatura. Ringrazio di cuore tutti coloro della cui fiducia, cooperazione e sostegno, ho potuto godere, e ricordo con piacere i molti insieme ai quali ho seminato e, qualche volta, anche raccolto dei frutti. Chiedo scusa e comprensione a coloro le cui aspettative nei miei confronti fossero rimaste deluse. Ringrazio in modo del tutto particolare i miei collaboratori e collaboratrici più stretti. Confido nel rispetto che si vorrà portare a questa mia decisione – che non deve scoraggiare o disincentivare nessuno – ed al silenzio con cui intendo proteggerla».

Siamo, eravamo, nel settembre 1993. Si tratta solo di una “bozza”, mai resa pubblica, e le decisioni in essa preannunciate non sono, all’epoca, state attuate. Ma, anche in questo caso, si prova una forte emozione a rileggerla, pensando a quanto poi è avvenuto il 3 luglio 1995: «Per ragioni personali ed interiori che non intendo rendere pubbliche, decido di prendere congedo – non so ancora se a tempo o per sempre – dall’attività politica che svolgevo...».

Alla fine, dunque, Alex ha “preso congedo” non solo dall’attività politica, ma da tutto e da tutti, con parole assai più concise e drammatiche, ma che sembrano ripercorrere, sia pure nella forma della disperazione, una riflessione che veniva davvero da lontano.

Ancora una volta solo dopo la sua morte, è stato reso noto un messaggio personale e privato, che il 21 ottobre 1993 Alexander Langer aveva inviato ad una sua ex-allieva del Liceo classico di Bolzano. Eva Pattis ricevette per fax queste parole, scritte in tedesco, da Alex:

«La mia vita si è fatta molto difficile negli ultimi mesi, sono – o mi sento – impegnato da tante parti e ciò ha portato con sè crisi e angosce... Queste e altre circostanze interne ed esterne mi spingono in questo momento a stringere i denti e per quanto possibile a portare a compimento quanto ho già iniziato senza caricarmi di nuovi pesi».

Questo breve messaggio risale, dunque, a solo un mese circa dopo la preparazione della “lettera di congedo”, mai inviata. In un testo personale e destinato a restare comunque riservato, Alex qui parla di “crisi e angosce”, della necessità di “stringere i denti” per andare avanti, ma senza “caricarsi di nuovi pesi”.

Mao Valpiana ha scritto poco dopo la morte di Alex:
«Nell’estremo gesto, nella precisione con la quale l’ha preparato, c’è qualcosa di religioso: la scelta del luogo, il libro di preghiere, la cena con gli amici qualche giorno prima, l’ordine lasciato nelle proprie cose... un atto meditato da giorni, da settimane, forse cresciuto negli anni».

Ma lo stesso Valpiana ha anche aggiunto: «Eppure Alex aveva cercato, in più occasioni, di farcelo sapere: “Penso di aver compiuto un periodo di servizio sufficientemente lungo da poter desiderare un periodo sabbatico” (febbraio 1994, prima delle elezioni europee); e poi a voce si confidava: “Tutti cercano risposte da me, ma io non ho risposte nemmeno per me stesso”.»

Il “periodo sabbatico”, nuovamente auspicato da Alex nel febbraio 1994, non arriva. Dopo molte esitazioni e tensioni, viene convinto “a furor di popolo” (verde e non solo verde) a ricandidarsi alle elezioni europee, per un secondo mandato (e anche “a furor di popolo” viene rieletto).

Alcuni mesi dopo, verso la fine dello stesso 1994, Alexander Langer trova un modo diverso di comunicare il suo stato d’animo ad una larga cerchia di amici (alcune centinaia). Prepara ed invia a tutti loro una sorta di “lettera-circolare” (datata “Avvento-Natale 1994”), con cui accompagna il dono a tutti, per un anno, di una bella rivista di elaborazione culturale e di impegno politico-sociale, Una città. Scritta con la calma della riflessione e della ponderazione, anche quella lettera è un insieme di proiezione comunque verso il futuro («Probabilmente occorre un forte progetto etico, politico e culturale, senza integralismi ed egemonie ...»), ma anche di preannuncio di ripensamento, di distacco, di ricerca di altre vie:

«Personalmente ho passato un periodo di transizione assai travagliato, la decisione di ricandidarmi finalmente al Parlamento europeo non è stata per nulla facile, ed ho faticato anche ad accettare l’elezione a presidente del Gruppo Verde (insieme a Claudia Roth). Ancora non so dove questa transizione ci/mi porterà: il bisogno di trovare una nuova sponda per un impegno sociale e politico, che continuo a ritenere di grande (ma non esagerata) importanza, resta più che mai aperto e non conosce scorciatoie progressiste, né rassicuranti giaculatorie verdi».

A pensarci bene, questo messaggio – scritto con un tono più sereno degli altri testi già ricordati, ma con la stessa sostanziale segnalazione agli amici di un profondo disagio («periodo di transizione assai travagliato») e con l’allusione ricorrente al «bisogno di trovare un’altra sponda» – ha permesso ad Alex di rendere note le proprie difficoltà ad una cerchia più ampia di persone, e, paradossalmente, di immaginare di essere comunque da loro ricordato con un “dono” (la rivista) lungo tutto un anno (l’intero 1995...).

Ritornano qui ancora a proposito le parole di Mao Valpiana: «Eppure Alex aveva cercato, in più occasioni, di farcelo sapere...».

Il 5 aprile 1991, su invito del vescovo di Bolzano Wilhelm Egger, Alexander Langer aveva tenuto una relazione sulla figura biblica di Giona. Quattro anni dopo, nel maggio 1995, aveva dedicato questo testo alla memoria del vescovo di Molfetta, Tonino Bello, con l’aggiunta di alcune riflessioni introduttive e conclusive, tra cui: «Davvero non si sa dove trovare le risorse spirituali per cimentarsi su un terreno sempre più impervio. Non sarà magari più saggio abbandonare un campo talmente intossicato da non poter sperare in alcuna bonifica, e coltivare – semmai – altrove nuovi appezzamenti, per modesti che siano?»

Ancora una domanda, “impersonale” nella forma, ma rivolta prima di tutto a se stesso, e di una straordinaria “radicalità” («non sarà magari più saggio abbandonare un campo talmente intossicato...»). E la riflessione “aggiuntiva”, alla fine, si rivolge direttamente alla figura del vescovo Tonino Bello: «Non so come don Tonino abbia deciso di fare il prete e il vescovo. Non so se abbia mai sentito forti esitazioni, l’impulso di dimettersi, una sensazione di inutilità del suo mandato».
Anche in questo caso – e siamo nel maggio 1995 – sembra che, parlando di mons. Bello, parli in realtà prima di tutto a se stesso («l’impulso di dimettersi»).

Un’altra figura biblica – quella di Giuseppe e i suoi fratelli – viene rievocata da Alex pochi giorni dopo, il 3 giugno 1995. Questa volta (e siamo – lo sapremo solo dopo, ovviamente – esattamente ad un mese dalla sua morte) Alexander Langer il riferimento a se stesso, e al proprio impegno politico e civile, lo fa esplicitamente, e quasi disperatamente:

«Il biblico Giuseppe dell’Antico Testamento dai suoi fratelli fu gettato nel pozzo, cadendo così nella schiavitù degli egiziani ai quali fu venduto. Una volta che i fratelli se ne erano disfatti, pensavano di poter meglio gestire e spartirsi l’azienda familiare. Ma quando, più tardi, capitò loro una feroce carestia, ricevettero il consiglio: “Andate da Giuseppe, vi saprà aiutare”. Ricercarono in Egitto il fratello estromesso, ne furono accolti fraternamente e generosamente aiutati.»

Questa è la premessa della narrazione “biblica”, alla quale Alex aggiunge subito questa amara riflessione:

«Chissà se un giorno i personaggi ed i partiti che, attraverso una puntigliosa legislazione etnica, hanno escluso dal voto a Bolzano un candidato sindaco, con la lista inter-etnica che lo sosteneva, reo di non aver compilato la dichiarazione etnica nel censimento 1991, sentiranno il bisogno di ricorrere alle risorse di innovazione civile e politica, che tale proposta avrebbe comportato». Il quotidiano, che pubblicò questo drammatico intervento di Alexander Langer, lo intitolò: «Una voce dal pozzo».
Subito dopo la sua morte, l’allora direttore del settimanale Famiglia Cristiana scrisse un editoriale interamente dedicato ad «Alex così bello, così fragile», nel quale rievocava, tra l’altro, questo episodio:

«Negli ultimi tempi, quando la sofferenza e la depressione già gli scavavano l’anima, aveva mandato a Grazia Francescato un libretto di Roberto Piumini, Tre d’amore. È il racconto di tre angeli che vogliono entrare in una chiesa, ma il sagrestano ha chiuso la finestra. Il dono era accompagnato da questo biglietto: «Tutto sembra andare per il verso opposto. Che anche il mio sagrestano abbia chiuso la finestra? Ma ogni discesa nel pozzo prevede anche una risalita». Non sapremo mai perché il suo è stato invece un pozzo a senso unico».

Nell’autunno 1961, Alexander Langer, appena quindicenne, scrisse (in tedesco) un editoriale sul nuovo mensile Offenes Wort, della Congregazione studentesca mariana di Bolzano. Vi si legge:

«Vorremmo esistere per tutti, essere di aiuto ed entrare in contatto con tutti. Il nostro aiuto è aperto a tutti, così come per tutti vale la nostra preghiera. Venite a noi, e vi aiuteremo con tutte le nostre forze. Ma che cosa ci spinge a farlo? L’amore per il prossimo. Dobbiamo prendere sul serio la tanto declamata carità cristiana, senza mezze misure».

Alexander Langer per tutta la sua vita ha preso davvero tutto “sul serio”, davvero “senza mezze misure”.

Dopo averci a lungo pensato, dopo aver vagliato ogni alternativa possibile, quando ha deciso di andarsene “altrove”, se ne è andato.

Marco Boato

 

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